Una perdita di controllo che apre a una conversione

Gli Atti degli Apostoli conservano tre racconti (cap. 9, 22, 26) della conversione di Saulo, alias Paolo, inizialmente feroce persecutore dei cristiani, che non solo assistette ma approvò la lapidazione di Stefano (Atti 7, 58). La sua conversione, a Cristo e al Vangelo, fu decisiva per la diffusione della Buona Novella nei paesi mediterranei; inoltre Paolo potrebbe essere l’autore più prolifico del Nuovo Testamento.

Per quanto concerne la sua conversione, fu il risultato di una illuminazione destabilizzante mentre Paolo si recava a Damasco, munito di lettere del sommo sacerdote di Gerusalemme indirizzare alle sinagoghe di questa città, «al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati». In sintesi un’operazione di polizia religiosa, alla quale era familiare, avendo già condotto in prigione numerosi cristiani (Atti 22, 4). Sulla strada fu improvvisamente avvolto da una luce sfolgorante che lo fece cadere a terra (Atti 9, 3-4; 22, 6-7; 26, 13). Una voce gli comandò di alzarsi e di lasciarsi condurre a Damasco per mano – divenne temporaneamente cieco – per incontrare un certo Anania, che lo battezzò.

Qual era il suo mezzo di trasporto tra Gerusalemme e Damasco, due città situate a circa 300 km di distanza? Nessuno dei tre racconti negli Atti specifica che vi si recò a piedi, su un asino, con un carro, a cavallo o grazie a una carovana di cammelli. Molti storici ritengono improbabile che abbia viaggiato a cavallo, dato che questa monta all’epoca significava complicità con l’occupante romano. È vero che Paolo era un cittadino romano, ma era la sua appartenenza al giudaismo intransigente che amava esibire, e non il suo status di “collaboratore”.

Quanto agli artisti, una volta che il soggetto della conversione di Paolo divenne per così dire un archetipo, cominciarono a raffigurarlo mentre cammina a piedi tra i suoi compagni e, nel momento in cui fu colpito dalla luce, disteso completamente a terra. Questa modalità di rappresentazione si impose per almeno tre secoli, dall’IX all’XI secolo compreso. Tuttavia, l’idea stessa di conversione divenne ben presto, dal XII secolo, sinonimo di destabilizzazione e Paolo iniziò a essere dipinto disarcionato, abbattuto, respinto e soprattutto caduto da cavallo: fu questa versione storicamente improbabile a diventare quasi la regola nella pittura e nella scultura… fino ai giorni nostri. Di recente, alcuni artisti hanno deciso di liberarsi da questa versione, anche perché il cavallo non è più da tempo il mezzo di locomozione principale per la maggior parte degli uomini, ma l’automobile.

È così che questa destabilizzazione vissuta da San Paolo è espressa, ma in modo aggiornato, da un artista del Kansas, Ernest Vincent Wood III, nel suo dipinto intitolato appunto La conversione di San Paolo. Questo artista ebbe l’idea di abbandonare il cavallo, sostituendolo con un’automobile e di trasporre la caduta da cavallo in una perdita di controllo del volante. Da un punto di vista sociologico e antropologico, e soprattutto da un punto di vista religioso, si tratta di una scelta tanto originale quanto rilevante. I grandi shock emotivi, gli sconvolgimenti estetici, le conversioni religiose, si manifestano infatti con un’improvvisa perdita di punti di riferimento, almeno provvisoria. Per farsi un’idea verosimile di quanto visse San Paolo, la maggior parte di noi che probabilmente non ha mai sperimentato una caduta da cavallo, dovrebbero piuttosto immaginare una perdita di controllo ed equilibrio. In ogni caso, è quanto suggerisce questo dipinto, in un modo tanto audace quanto ingegnoso.

François Bœspflug